Il mio viaggio sulla Cordigliera delle Ande, in Venezuela, comincia dopo un mese trascorso in Colombia con alcuni compagni di viaggio, i soliti grandi amici Renzo, Alberto e la mitica Gully, con i quali decido di noleggiare una macchina e di partire verso la libertà. E le Ande sono davvero in grado di ripagare questa aspettativa: scalandole si scopre un luogo magico dove si può toccare il cielo con un dito e provare l’esperienza incredibile di sfiorare le nuvole. In questo paesaggio ho pensato spesso di essere capitato alla periferia del paradiso.
ALLA PERIFERIA DEL PARADISO
È con questa sensazione che ho percorso quasi 5.000 km, toccando città e piccoli paesi, a partire da Valencia e proseguendo, sul litorale, per Porto Cabello, Coro, il lago di Maracaibo, la mitica Merida e Barquisimento. Queste sono le vie del caffè e del cacao, si viaggia tra piantagioni di banane e canne di bambù, ma è davvero difficile immaginare, per chi non si sia stato, cosa voglia dire arrampicarsi verso le vette andine.
Il clima, avvicinandosi alla Cordigliera, si fa capriccioso e passa dal caldo umido al caldo secco, poi a un freddo pungente dove spunta anche la neve, sul Pico Bolivar (5007m ), il Pico Humboltd (4942m ) e il Pico Bompland (4883m) che sovrastano la Sierra Nevada de Merida.
Il mio pensiero fin dall’inizio di quest’avventura era uno: sicuramente più ci inoltriamo nelle montagne e tra le foreste, e più ci allontaniamo dalla costa, meno saranno frequenti le tracce di “civiltà”. Invece è esattamente il contrario: anche ad altitudini per noi impensabili esistono coltivazioni sterminate e numerosi villaggi. Cambiano, certo, i materiali per costruire le case (gli indios Timolo-Cuicas, instancabili agricoltori, prediligono la pietra e le tegole), mentre lungo la strada che conduce a Merida si incontrano piccole baracche dove gli abitanti vendono carne di manzo, di pecora e di maiale, tutte appese e già sezionate: al viaggiatore resta solo da accendere il barbecue e mangiare.
UN MENU’ DI MONTAGNA
Sulle Ande gli indios sono tutti agricoltori e tutta la produzione locale finisce in vendita nelle baracche lungo la strada, affollate soprattutto di frutta e verdura. A questo proposito è incredibile scoprire come a 3.000 metri di altitudine vi siano estesissime coltivazioni di fragole, mentre salendo il cibo naturalmente cambia, e la tavola si affolla di formaggi, di zuppe, di fagioli, di cipolle, con un’alimentazione che diviene via via sempre più calorica fino a culminare nella mitica (e super-energetica) pisca andina, una zuppa con uova, formaggio, latte, patate e prezzemolo.
Quello che colpisce nelle Ande venezuelane è proprio il grande impegno che questi indios hanno messo nel coltivare campi arroccati su costoni di roccia, dove la vegetazione spontanea è composta di fiori, ginestre e piante grasse, in un paesaggio splendido, ma durissimo da far fruttare. In quasi tutti i paesi e le cittadine della Cordigliera, comunque, non si trovano grandi mercati perché la popolazione è abituata ad utilizzare le piccole bancarelle dei villaggi. È proprio lungo le strade principali dei piccoli centri arroccati si trovano prodotti incredibili: dai mieli profumati di erbe di montagna con sapori molto intensi alle zuppe dai sapori molto interessanti, come l’ erbido, una minestra preparata con manzo, pollo, patate e carote, oppure all’ arepa, fatta di piccole focacce di farina di mais o di frumento fritte su cui si spalma la natilla, un formaggio andino cremoso simile al mascarpone. E ancora si può mangiare la carne mechada con fagioli e cipolle e per concludere il pasto le bancarelle traboccano di bellissimi frutti: fragole, mamones (verdi e simili a palline da ping-pong), cambur (piccole banane dolcissime), platano (banane tagliate a fette e fritte dette anche patacon se sono schiacciate e cotte come una purea).
Sulla Cordigliera quando fa molto freddo si beve il calentado (latte caldo, anche di capra, con miche, un distillato di canna da zucchero e anice), oppure la chicca, bevanda ricavata dalla fermentazione del mais, molto comune tra la popolazione andina. Una cosa straordinaria sono le patate, sicuramente tra le migliori del mondo, ma accanto ad esse compaiono il caffè, il cacao, la canna da zucchero, il mais, i legumi, la manioca, il riso, il cotone, il sisal e il tabacco.
UN ANGOLO DI TIROLO
Pur essendo una nazione con seri problemi (civili, geologici, soprattutto politici), il Venezuela è un paese splendido, con persone e luoghi magnifici. Colpisce come tutto vada avanti nonostante le strade a pezzi, l’assenza di strutture, la mancanza di aiuti alla popolazione, la corruzione e quant’altro. Ma le persone, qui, vivono, godono, cantano e ballano, spesso più di noi europei. Il tutto immerso in una natura prepotente che offre scenari fantastici e tra persone che cospargono le strade di chicchi di caffè sperando che le ruote delle auto in transito li possano frantumare.
Si riesce persino a incontrare una gelateria dov’è possibile ordinare un cono al gusto di trota e aglio, oppure di vitello e peperoncino, in una sorta di colonia nel cuore della cordigliera del Mar dove sembra di essere catapultati all’ improvviso in Tirolo, con tanto di boccali di birra, wurstel e crauti. Poi, un fatto curioso: se dovete dare un appuntamento a qualcuno in qualsiasi paesino del Venezuela, dalle Ande che sfiorano i 4000 metri ai cayos caraibici, il punto di ritrovo sarà comunque una Plaza Bolivar, visto che in tutti i borghi, i paesi, le cittadine hanno una piazza con questo nome.
CARACAS, DOVE L’ARIA SA DI MIELE
Stranezze a parte, il mio viaggio attraverso le vie del caffè e del cacao mi ha portato fino a Caracas, viaggiando tra fazende linde e ordinate circondate da pascoli meravigliosi, fiumi con cascate altissime e coltivazioni intensive. Qui si mangia l’ arepa de trigo a base di grano e le macellerie vendono i chicharrones, ciccioli di maiale. Molti piatti locali sono a base dei tipici frijoles, i fagioli rossi. Ma da queste parti si beve anche molto e la bevanda prediletta è il leche de burra, densa, alcolica e fatta con miche (un distillato della canna da zucchero), uova e latte. Anche la frutta è abbondante, e tra i prodotti più esotici spicca il mamon, dalla classica buccia verde con polpa rossastra.
Colpisce, in un’epoca in cui il turismo brama l’ happy-hour sulla spiaggia o l’acqua-gym di gruppo, la presenza di carne appesa sulla strada senza l’ombra di un frigorifero in una bancarella improvvisata. Ed è bello dormire a 4.000 metri tra fragole, gerani, pecore e mucche, dove l’aria profuma di latte e miele.
Se è vero che esiste una ricchezza “irreversibile” – e penso ai soldi spesi in macchine o motoscafi di lusso – esiste anche una ricchezza “reversibile”, che ha lo straordinario potere di mettere in circolazione altra ricchezza sotto forma di energia positiva. Il mio viaggio nel cuore del Venezuela appartiene certamente alla seconda categoria.
A parte questo le Ande venezuelane sono faticosissime, e man mano che si sale il freddo aumenta, la natura e la vegetazione cambiano, e la gente che gira a cavallo la sera si riunisce attorno a fuochi sempre accesi per bere e per scaldarsi.
IL MERCATO DI MERIDA
Poi c’è Merida, la meta “mitica”, la città più frequentata del Venezuela, che conta 250.000 mila abitanti, molti alberghi, ristoranti e un discreto mercato. Merida si trova a 1625 metri di altezza, ma da qui la teleferica consente di raggiungere altitudini ancora più elevate.
Il mercato, come tutti i mercati sudamericani, è fatto di banchi improvvisati dove la gente che arriva dalle campagne e dalla montagna espone la merce che produce. E si tratta, spesso, di prodotti meravigliosi e sconosciuti: radici, foglie, piante mai viste, una moltitudine di bacche e sementi, in un miscuglio di prodotti profumi davvero emozionante.
Ci sono però due prodotti che mi hanno davvero fatto sognare e mi hanno aiutato a capire cosa significa davvero il biologico: il miele e il latte. Sono prodotti perfetti, non contaminati né da pesticidi, né da gas di scarico, né da acqua inquinata, con profumi e sapori unici.